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Palermo. Gaspare Mutolo torna in aula, le sue rivelazioni sull’omicidio dell’agente Nino Agostino

Si è svolta ieri 13 settembre 2022 nell’aula bunker del carcere Ucciardone di Palermo, davanti alla Corte di assise presieduta dal Giudice Sergio Gulotta (giudice a latere Monica Sammartino), l’udienza del processo che vede imputati Scotto Gaetano e Francesco Paolo Rizzuto per il duplice omicidio dell’agente di polizia Nino Agostino e della moglie Ida Castelluccio in stato di gravidanza, uccisi a colpi di pistola il 5 agosto 1989 a Villagrazia di Carini.

Presente in aula oltre agli avvocati della difesa e di parte civile, l’instancabile Vincenzo Agostino padre dell’agente Nino d’Agostino.

Ricordiamo le sue dichiarazioni in occasione della sentenza di condanna in rito abbreviato all’ergastolo nei confronti del boss di Resuttana Antonino Madonia: “Le stragi sono partite dall’uccisione di mio figlio, ci sono tre persone con ruoli importantissimi che sanno e ora devono parlare”.

Il primo teste è di Vito Lo Forte, la cui testimonianza risulta pressochè lineare e sbrigativa, a destare interesse sono state le dichiarazioni del boss pentito Gaspare Mutolo, storico narcotrafficante di cosa nostra arrestato su mandato del giudice Falcone in seguito al sequestro di 250 kg di eroina nel canale di Suez attribuibili al Mutolo. 

La voce è rauca a tratti tremolante, ma Gaspare Mutolo detto Asparinu (oggi uomo libero e pittore) nonostante l’età avanzata sceglie di rispondere e lo fa con discreta lucidità alle domande postegli dai PM Lia Sava e Umberto De Giglio.  

Il pentito di mafia convinto a collabore con la giustizia da Giovanni Falcone e interrogato per l’ultima volta da Paolo Borsellino solo due giorni prima della strage di Via D’Amelio, torna quindi a sedere anche se virtualmente al banco dei testimoni.

La prima domanda postagli dalla PM Sava e dal Presidente della Corte riguarda il tentato golpe  avvenuto nella notte tra il  7 e l’8 dicembre 1970 promosso dal principe Junio Valerio Scipione Ghezzo Marcantonio Maria dei principi Borghese, noto come Junio Valerio Borghese con l’ausilio di alcune formazioni neofasciste e paramilitari sotto la sigla di Fronte Nazionale, e passato alla storia come il golpe Borghese.

Così alla domanda “ha mai sentito parlare all’interno di cosa nostra di rapporti con la destra eversiva? …e del golpe Borghese?” Gaspare Mutolo dapprima un po’ reticente fornisce la sua risposta: “Bontade, Badalamenti e Liggio erano soliti avere raporti con tutte le frange politche”. Lo incalza quindi la PM  “…nel 1996 lei dichiarò di aver appreso da fonti interne a cosa nostra che il Colonnello Giuseppe Russo, anch’egli interessato al golpe Borghese, avrebbe richiesto ai vertici di cosa nostra un elenco dei mafiosi che avrebbero partecipato all’azione e che tale volta mi venne detto che sarebbero stati coinvolti anche personaggi politici, massoni e dell’arma dei carabinieri. Non ne conosco i nomi perchè l’argomento non mi interessò, …mi colpì quello del Colonnello Russo in quanto ufficiale dell’Arma” qui Mutolo risulta più sicuro nella risposta: “confermo quanto detto, sono cose che ho detto perchè ne ero a conoscenza”. 

Mutolo conferma anche le testimonianze precedenti dove sostiene che il boss a stretto contatto con il Colonnello Russo fosse Beppe DiCristina e che l’adesione al colpo di stato da parte della mafia fu scongiurato da Luciano Liggio in quanto il registro dei mafiosi richiesto dal Colonnello Russo avrebbe rappresentato in futuro un’arma a doppio taglio per l’organizzazione criminale. 

Ricordiamo per dovere di cronaca che il Colonnello Giuseppe Russo fu uomo fidato del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e che venne barbaramente assassinato da un commando armato il 20 agosto del 1977 a Ficuzza insieme al fraterno amico Giuseppe Costa, un insegnante. A far fuoco furono proprio gli uomini di cosa nostra guidati da Leoluca Bagarella e Giovanni Brusca.

Il PM De Giglio pone invece l’attenzione sull’omicidio D’agostino chiedendo a Mutolo come sia venuto a conoscenza del fatto che sia stato Madonia il mandante Mutolo spiega come sia stato Giuseppe Leggio. La PM Sava incalza nuovamente: “lei ha fatto riferimento ad appartenenti alle forze dell’ordine che avevano un elenco di latitanti…da chi ha saputo questa cosa?”, e qui Mutolo fa una serie di affermazioni che potrebbero fornire trasversalmente terreno fertile per le ipotesi avanzate da Vincenzo Agostino: “non ricordo bene con chi ne parlavo, ma le voci erano queste, si fecero queste illazioni che c’era una squadretta di poliziotti giovani con la lista dei latitanti e c’erano questi altri poliziotti che si prendevano i soldi per raccontare a chi stare attenti. Una situazione fantascientifica si raccontava di poliziotti che volevano arrestare i latitanti e poliziotti amici dei mafiosi che prendevano soldi per avvisare i latitanti.”

L’ex boss finisce per muovere indirettamente pesanti accuse nei confronti di una parte deviata dello Stato, celandosi tuttavia sempre dietro a quel “dico e non dico” spesso implicito quando si trattano fatti di mafia.

Si conclude così la testmonianza di Gaspare Mutolo ex uomo “d’onore” di cosa nostra (le cui testimonianze permise nel 1993 al Procuratore Capo Giancarlo Caselli e al pool antimafia di emettere cinquatasei misure di custodia cautelare) con una serie di illazioni che potrebbero aggiungere nuove pagine di storia ad alcuni degli anni più che il nostro paese abbia attraversato, e come tutti speriamo restituire piena giustizia a chi in nome della lotta alla mafia ha perso la vita.

Salvatore Battaglia

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