Tre ergastoli e una condanna a trent’anni. Si chiude così il processo di primo grado, celebrato davanti i giudici della Corte di Assise di Caltanissetta, scaturito dall’omicidio del barista Giuseppe Failla, avvenuto il 9 ottobre del 1988 all’interno del suo locale a Gela. Carcere a vita per il boss Giuseppe Madonia, rappresentante provinciale di Cosa Nostra a Caltanissetta, Cataldo Terminio, uomo d’onore della famiglia di San Cataldo, e Angelo Palermo, autista del commando. Trent’anni di reclusione ad Angelo Bruno Greco, appartenente alla famiglia di Gela, quale basista.
Un vero e proprio cold case a cui si giunse ad una svolta quattro anni fa, a trent’anni dall’omicidio. Decisive per l’inchiesta della Direzione Distrettuale Antimafia sono state le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia della mafia del Vallone come Leonardo Messina, Ciro Gaetano Vara e Salvatore Ferraro. Il delitto sarebbe da inquadrare nella faida tra esponenti di Cosa Nostra e della Stidda che in quegli anni insanguino’ Gela. Secondo gli inquirenti ideatore ed esecutore materiale dell’omicidio sarebbe stato Cataldo Terminio, uomo d’onore della famiglia di San Cataldo, con il supporto di Angelo Palermo, che avrebbe avuto il compito di autista del commando, e di Angelo Bruno Greco, appartenente alla famiglia di Gela, quale basista. L’omicidio sarebbe scaturito dalla volonta’ di Cataldo Terminio di vendicare la morte del padre Nicolo’, uomo d’onore di Cosa Nostra, ucciso in un agguato a San Cataldo il 17 aprile 1982 dagli appartenenti al gruppo dei cosiddetti “stiddari selvaggi” di cui Giuseppe Failla era espressione. Un clan criminale formato da fuoriusciti da Cosa Nostra a seguito di contrasti per la spartizione dei proventi di alcune estorsioni, che negli anni ’80 ingaggio’ una sanguinosa faida fatta di omicidi incrociati con gli appartenenti della famiglia mafiosa di San Cataldo. Dalle dichiarazioni dei pentiti e’ emerso inoltre che Giuseppe Madonia, rappresentante provinciale di Cosa Nostra a Caltanissetta, avrebbe dato il suo assenso all’omicidio appoggiando la linea di Cataldo Terminio. Quest’ultimo, nonostante una lunga detenzione, occuperebbe ancora posizioni di vertice nell’organizzazione, come accertato nel corso del Processo Kalyroon.