Porto Empedocle. Tentata estorsione a tre ditte, 6 anni di reclusione a Giuseppe Migliara
Il giudice per l’udienza preliminare Iacopo Mazzullo ha disposto la condanna nei confronti di Giuseppe Migliara, 62 anni, di Porto Empedocle. Sei anni di reclusione per tentata estorsione nei confronti di tre ditte empedocline e per aver cercato di entrare in possesso di un immobile dove insiste un bar attraverso la forzata rescissione del contratto. Le motivazioni del dispositivo saranno depositate entro novanta giorni. L’imputato è ritenuto il personaggio chiave di una delicata indagine della Squadra mobile di Agrigento che portò alla luce intimidazione e minacce ad alcuni imprenditori empedoclini, operanti nel settore dei rifiuti e dell’edilizia, al fine di far assumere parenti e amici. Insieme a Migliara, difeso dall’avvocato Antonino Gaziano, erano finiti a processo altri due imputati – Filippo Freddoneve, 60 anni ed il figlio Giuseppe Freddoneve, 35 anni (difesi dagli avvocati Rosario Fiore e Daniela Principato) – che saranno però giudicati col rito ordinario. Decisiva la collaborazione di tre imprenditori – due che si occupano del servizio raccolta rifiuti e un costruttore – che non si sono piegati alle minacce e hanno deciso di denunciare le pressioni subite. Tutti sono parte civile nel processo, rappresentati dagli avvocati Giuseppe Scozzari e Stefano Catuara. L’inchiesta, inizialmente coordinata dalla Direzione Distrettuale Antimafia di Palermo, è stata trasferita ad Agrigento per competenza territoriale dopo l’esclusione da parte del gip della contestazione dell’aggravante mafiosa. Il personaggio chiave dell’intera indagine è Giuseppe Migliara. L’empedoclino, con precedenti penali per reati contro il patrimonio e la persona, avrebbe organizzato le richieste estorsive condite da gravi minacce: “Io posso far succedere la fine del mondo oppure lo posso aggiustare perché al momento non si muove niente se prima non lo so io”. Filippo Freddoneve, invece, è un dipendente del comune di Porto Empedocle. Il Riesame, due mesi dopo l’operazione, gli sostituì (così come per il figlio) gli arresti domiciliari con la misura meno afflittiva dell’obbligo di firma permettendogli così di essere reintegrato dal Comune che lo aveva sospeso dal servizio.