Il gip di Palermo Antonella Consiglio ha disposto una misura cautelare per sei persone, alle quali vengono contestati, a vario titolo, diversi episodi di vendita e cessione di droga. Tra gli indagati c’è Mario Di Ferro, cinquantasettenne, gestore del ristorante Villa Zito di Palermo, accusato nel provvedimento di avere procurato e ceduto cocaina, tra gli altri, all’ex presidente dell’Ars Gianfranco Miccichè, che non è indagato. L’inchiesta è coordinata dal procuratore del capoluogo Maurizio de Lucia e dall’aggiunto Paolo Guido.
Il procedimento nasce da un’intercettazione disposta nell’ambito di un’altra indagine. Da qui la necessità degli investigatori di avviare gli approfondimenti, che hanno poi rivelato che il ristoratore era protagonista di un’intensa attività di vendita di cocaina a una selezionata clientela, attività che svolgeva nel suo locale, divenuto un luogo di spaccio. Si è arrivati così ad accertare diversi episodi di cessione di droga che l’indagato avrebbe realizzato con l’apporto di altre persone come Gioacchino e Salvatore Salamone, rispettivamente di 59 e 46 anni, già condannati per spaccio in un processo sui traffici dei clan mafiosi palermitani. Di Ferro si sarebbe rivolto a loro per rifornirsi dello stupefacente e avrebbe anche usato tre suoi dipendenti come pusher. I tre sono Pietro Accetta di 45 anni, Gaetano Di Vara di 66 anni e Giuseppe Menga di 46 anni. A Di Ferro sono stati dati i domiciliari, ai Salamone la custodia cautelare in carcere, ai tre dipendenti di Villa Zito è stato imposto l’obbligo di firma.
Mario Di Ferro fu sorpreso ad aprile a vendere cocaina all’ex funzionario dell’Ars Giancarlo Migliorisi, all’epoca nella segreteria tecnica dell’attuale presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gaetano Galvagno. Interrogato dalla polizia, Migliorisi, sospeso dopo che la vicenda divenne pubblica, spiegò di aver telefonato al ristoratore, chiedendogli di riservargli un tavolo per tre persone per il pranzo. «Ho fatto riferimento al fatto che avrei voluto realmente pranzare con tre presone presso il suo ristorante. Il riferimento alla tre persone è stato poi incidentalmente utilizzato come riferimento al numero di dosi che intendevo acquistare», disse alla polizia. E ammise di avere comprato cocaina da Di Ferro in passato, ma sostenne di non sapere da chi questi si rifornisse. Seguendo le mosse del ristoratore, però, gli investigatori erano già riusciti a risalire ai fornitori: Gioacchino e Salvatore Salamone, oggi finiti in cella. Entrambi erano già conosciuti dalle forze dell’ordine. Nel 2018, erano stati, infatti, coinvolti in un’indagine sul riciclaggio del denaro che i clan mafiosi di Resuttana e di Porta Nuova ricavavano dai traffici di droga. Le riprese dei sistemi di videosorveglianza, depositate agli atti dell’inchiesta odierna, hanno immortalato più volte Di Ferro mentre consegnava il denaro ai due fornitori dopo aver preso lo stupefacente.
L’ex presidente dell’Assemblea regionale siciliana Gianfranco Miccichè sarebbe andato a prendere la cocaina con l’auto blu della Regione Siciliana, con il lampeggiante acceso. È quanto risulta dall’indagine che ha portato all’arresto di Mario Di Ferro, presunto pusher dell’uomo politico e gestore a Palermo di Villa Zito, un noto ristorante frequentato da professionisti e vip. Miccichè non è indagato, viene indicato fra i clienti di Di Ferro.
Lui smentisce. «Escludo in maniera categorica – afferma infatti Miccichè – che io mi muova in macchina con il lampeggiante acceso. Considero molto più importante nella mia vita di essere stato onesto, non avere mai fatto male a nessuno, non avere mai rubato un centesimo. Poi ognuno di noi qualche errore nella vita lo ha fatto. L’importante è essere a posto con la propria coscienza, e io lo sono».
Sull’inchiesta Miccichè non aggiunge altro. «Prima di potere dire qualcosa – spiega – devo capire cosa c’è nell’inchiesta in cui non sono indagato, ma posso dire che sono dispiaciuto per Mario Di Ferro: è un caro amico che conosco e frequento da moltissimi anni. Andavo alla sue feste che erano sempre molto divertenti, frequentate da tantissima gente e dove non ho mai visto della droga. Ho sempre ammesso di aver fatto uso di cocaina in passato. Ma non l’ho mai fatto da presidente dell’Ars. A 70 anni, se sniffassi, sarei già nella tomba. Quando sono stato intercettato, ero senatore. Non sono accusato di nulla e non sono indagato. Il mio nome non si poteva e doveva scrivere. Dicono che andavo a Villa Zito per comprare droga ma non c’entro niente con questa vicenda. È stato uno sputtanamento che sta facendo soffrire mia moglie e le mie figlie». L’ex presidente dell’Ars, che non è indagato, ne parla in interviste ai siti dei quotidiani Repubblica e Corriere della sera, sottolineando di non volere sottoporsi a un test antidroga.