Sono 68 le persone indagate e raggiunte da una misura cautelare eseguita dai carabinieri del comando provinciale di Catania che ha sgominato due organizzazioni criminali: una dedita al furto di autovetture, l’altra al traffico di cocaina. L’ordinanza è stata firmata dal gip del Tribunale di Catania, su richiesta della Direzione distrettuale antimafia etnea. Tra esse anche esponenti delle cosche Cappello e Cursoti milanesi. L’inchiesta è stata denominata Carback. Ecco i nomi.
Chi è finito in carcere
Vanno in carcere: Agatino Lorenzo Abate, Giuseppina Belfiore; Salvatore Biondi, Francesco Cacia, Giuseppe Cammarata, Annibale Giovanni Caro, Salvatore Carbonaro; Giovanni Edoardo Caruana, Febronio Cona, Gaetano Condorelli, Mario Cristian Costa, Emmanuele Falsaperla, Massimo Ferrera, Santo Fichera, Concetto Fontanarossa, Gioacchino Giangreco, Umberto Giardinaro, Salvatore Giuffrida, Salvatore Nicola Grasso, Kevin Manganaro, Andrea Antonio Marino, Antonino Mascali, Lorenzo Mascali, Francesco Maugeri, Giuseppe Mirabile, Jonathal Musumeci, Carmen Nicosia, Sebastiano Nicosia, Gabriele Pappalardo, Orazio Simone Pitterà, Nunzio Privitera, Marco Puglia, Giuseppe Pulvirenti, Christian Riccio, Fabio Riccio, Agatino Russo (classe 73), Agatino Russo (classe 95); Dario Rustico, Orazio Rustico, Angelo Sanfilippo, Antonino Santonocito, Giuseppe Scuderi, Simona Spaticchia, Johnny Strano, Cristian Torrisi, Alessandro Tricomi, Santo Tricomi, Salvatore Alberto Tropea, Daniele Francesco Ventimiglia, Roberto Zammataro, Giorgio Daniele Zuccarello.
Sono finiti ai domiciliari: Daniele Cadiri, Salvatore Cambria, Salvatore Caruso, Giacomo Cona, Sebastiano Giovanni Desi, Antonio Intruglio, Rosario Li Pani, Valerio Magni, Emanuele Pavone, Giuseppe Piacente, Orazio Puglisi, Antonino Savoca, Lorenzo Sgroi, Filippo Marco Storniolo, Giuseppe Strano, Fabio Vintaloro e Santo Vittorio.
Le macchine rubate rimanevano in “freezer” per tre giorni. E dopo, se non c’era nessun gps, se il proprietario non cercava un “amico” a cui pagare e se i ladri non avessero sbagliato bersaglio, colpendo involontariamente mafiosi o criminali d’alto rango, venivano destinate alla ricettazione, intere o a pezzi.
È la dinamica principale svelata dall’operazione “Carback”, condotta dal Nucleo Operativo della Compagnia Carabinieri di Catania Fontanarossa da settembre 2020 a marzo 2021 e trae origine da una approfondita e qualificata attività di analisi sui furti di autovetture, avvenuti nei precedenti mesi di giugno e luglio, spesso rinvenute dopo qualche giorno in modo apparentemente casuale.
L’inchiesta è stata coordinata dalla Dda di Catania, mentre all’operazione hanno partecipato circa quattrocento militari del Comando Provinciale di Catania, supportati dai reparti specializzati dell’Arma dei Carabinieri (Compagnia di Intervento Operativo del XII° Reggimento “Sicilia”, Squadrone Eliportato “Cacciatori” Sicilia, Nucleo Elicotteri, Nucleo Cinofili).
Complessivamente le persone coinvolte sono 68, 51 sottoposte a custodia cautelare in carcere e 17 ai domiciliari. I reati, contestati a vario titolo, vanno dall’associazione a delinquere finalizzata al furto di autovetture destinate all’estorsione, associazione mafiosa, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti aggravata dall’agevolazione mafiosa, acquisto e detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio e detenzione illegale di armi e munizioni.
Un primo filone di indagine, che si è proficuamente sviluppato grazie ai riscontri effettuati e all’attività tecnica svolta, secondo gli investigatori avrebbe permesso di delineare l’esistenza di una collaudata organizzazione, costituita da 45 persone, dedita ai furti, alle estorsioni e alle ricettazioni delle auto, con il coinvolgimento anche di un soggetto gravemente indiziato di appartenere al clan dei “Cursoti Milanesi”.
In seno al sodalizio criminale avrebbero operato tre batterie di ladri, responsabili di 54 furti, attive nelle zone di Monte Po’, San Giorgio e San Cristoforo sulla base di taciti accordi che prevedevano una chiara suddivisione del territorio per lo svolgimento “coordinato” delle loro attività delittuose. La presunta “batteria” di Monte Po’ operava nel quartiere Nesima di Catania e nei paesi etnei, quella di San Giorgio invece avrebbe concentrato i propri interessi nella zona di Catania centro, mentre la batteria di San Cristoforo aveva “competenza” esclusiva sui centri commerciali del capoluogo.
Avrebbero fatto parte dell’organizzazione criminale anche alcuni soggetti con il ruolo di intermediari che sarebbero stati contattati dalle vittime, direttamente o per il tramite di conoscenti, affinché si adoperassero per avviare l’iter per la restituzione del mezzo.
L’importo di ciascuna delle 33 estorsioni documentate poteva variare tra 300 e 1.500 euro in base al modello e alle condizioni dell’autovettura, al numero di persone intervenute nell’intermediazione ed al rapporto di conoscenza tra gli indagati e la vittima del furto.
I veicoli asportati sarebbero stati lasciati in sosta sulla pubblica via, nel pieno rispetto di una regola non scritta in base alla quale ciascuna batteria, prima di disporre del mezzo, avrebbe atteso almeno tre giorni, per tre motivi: dare tempo al proprietario del veicolo rubato di mettersi in contatto con i responsabili del furto e intavolare una “trattativa” illegale (il cavallo di ritorno è l’obiettivo principale dei furti, perché garantiva soldi facili riducendo il rischio); rimediare a eventuali “torti” a personaggi di particolare caratura criminale o persone a loro vicine, provvedendo all’immediata restituzione del mezzo; ed essere certi dell’assenza di eventuali dispositivi gps nascosti e non individuati durante la “bonifica” del mezzo, per non rischiare di essere scoperti.
Se le estorsioni non fossero andate a buon fine, trascorsi i tre giorni, le autovetture rubate sarebbero state destinate alla ricettazione, anche fuori Provincia, per la successiva immissione nel fiorente mercato nero di veicoli e parti di ricambi.
In tale ambito investigativo, sono state deferite all’A.G. n. 13 persone per favoreggiamento personale, poiché avrebbero fornito alla polizia giudiziaria informazioni palesemente false e fuorvianti, aiutando in tal modo gli autori del reato ad eludere le indagini.
Un secondo filone investigativo, nel quale sono rimaste coinvolte 30 persone, ha riguardato un ingente traffico di stupefacenti che sarebbe stato gestito da un gruppo criminale – con a capo un soggetto gravemente indiziato di appartenere al clan mafioso dei “Cappello” – che avrebbe potuto contare anche sulla disponibilità di armi e munizioni. Al riguardo, sono state censite e monitorate due presunte piazze di spaccio: una era nel quartiere di “Librino” e l’altra nel quartiere di “San Giorgio”. Piazze in cui si sarebbe smerciata la cocaina, per un volume di affari di oltre € 1.000 giornalieri per ciascuna piazza.
I presunti associati, coinvolti in entrambi i filoni d’indagine, avrebbero condiviso la stessa base logistica, costituita da un autonoleggio ubicato nel quartiere di San Giorgio, luogo in cui si sarebbero concretizzati gli accordi, incontri e pagamenti relativi alle attività illecite concernenti il furto dei veicoli finalizzato alle estorsioni o ricettazioni, ma soprattutto sito in cui sarebbero avvenute le contrattazioni riguardanti ingenti quantitativi di cocaina, venduta all’ingrosso a circa € 42.000 al kg e consegnata ai “grossisti” in vari punti della città per essere evidentemente destinata al rifornimento di altre piazze di spaccio presenti nel capoluogo etneo o in altre Province.