Inchiesta sulle cosche Villaseta- Porto Empedocle: confermato sequestro di 80mila euro allo zio del boss. Altri indagati si avvalgono della facoltà di non rispondere
Il Tribunale del Riesame di Agrigento, presieduto dal giudice Alfonso Malato, ha confermato il sequestro della somma in denaro di 80 mila euro rinvenuti nell’abitazione di Luigi Prinzivalli, un pensionato di 72 anni, ex commerciante di frutta e verdura, zio del presunto boss di Villaseta Pietro Capraro. I giudici hanno rigettato l’istanza dell’avvocato Teresa Alba Raguccia che chiedeva la restituzione del denaro. L’uomo, indagato per riciclaggio, si è sempre difeso sostenendo che quei soldi fossero il frutto di una vita di lavoro. Non sono dello stesso avviso i carabinieri del reparto Investigativo e Operativo di Agrigento che, dopo aver eseguito la maxi operazione contro le cosche di Agrigento/Villaseta e Porto Empedocle, fecero scattare pochi giorni dopo alcune perquisizioni. In una di queste vennero ritrovati 80 mila euro in casa del pensionato. Per gli inquirenti sono parte dei soldi del clan di Villaseta. In una seconda perquisizione, invece, i militari dell’Arma trovarono un arsenale nelle campagne di “Fondacazzo” nella disponibilità dell’operatore ecologico Alessandro Mandracchia: una bomba a mano, pistole, munizioni e anche una mitragliatrice. Mandracchia ha disconosciuto quelle armi ma il provvedimento di arresto è stato già confermato dal Riesame negli scorsi giorni.
Scena muta anche per gli ultimi indagati raggiunti nelle scorse settimane dalla misura cautelare nell’ambito della maxi inchiesta sulle cosche mafiose di Agrigento/Villaseta e Porto Empedocle e su un vasto traffico di stupefacenti. Nove indagati, sono comparsi davanti il gip del tribunale di Palermo, Antonella Consiglio, e si sono avvalsi della facoltà di non rispondere. Si tratta di Samuel Pio Donzì, 26 anni, di Agrigento; Stefano Fragapane, 29 anni, di Agrigento; Valery Di Giorgio, 29 anni, di Agrigento; Calogero Morgana, 39 anni, di Agrigento; Alfonso Bruccoleri, 59 anni, di Porto Empedocle; Calogero Bellaccomo, 39 anni, di Agrigento; Giuseppe Aliseo, 26 anni, di Canicattì; Alessandro La Cola, 40 anni, di Canicattì e Antonio Salinitro, 25 anni, di Gela. Adesso i difensori si rivolgeranno al tribunale del Riesame chiedendo di annullare l’ordinanza o modificare la misura cautelare. L’inchiesta in due “puntate” ha fatto luce sui presunti appartenenti a Cosa Nostra e ha permesso di sgominare un’associazione a delinquere finalizzata al traffico di cocaina e hashish. Una corsa contro il tempo dopo i numerosi e recenti atti intimidatori realizzati anche con l’utilizzo di micidiali armi, con il concreto rischio di una nuova “guerra” di mafia. Complessivamente 52 gli indagati (c’è anche una giovane donna), di cui 36 ristretti in carcere, 15 agli arresti domiciliari e uno rimasto a piede libero, ritenuti uomini di vertice, affiliati, vicini o a disposizione delle famiglie mafiose di Agrigento/Villaseta e Porto Empedocle. La prima sarebbe stata guidata dal boss Pietro Capraro, 39 anni; la seconda, invece, sarebbe stata saldamente nelle mani di Fabrizio Messina, 49 anni, fratello del boss ergastolano Gerlandino. I carabinieri del nucleo Investigativo – reparto Operativo del Comando provinciale di Agrigento, diretti dal tenente colonnello Vincenzo Bulla, hanno chiuso il cerchio dell’operazione, fra la città dei Templi, Canicattì, Favara, Porto Empedocle e Gela, con la “raffica” di arresti. E lo hanno fatto appunto dopo che il gip di Palermo, Antonella Consiglio, ha siglato le misure, su richiesta dei magistrati della Dda, procuratore aggiunto Sergio Demontis e dai sostituti Claudio Camilleri, Giorgia Righi e Luisa Bettiol. Dal dicembre del 2021 a fino alle scorse festività natalizie i carabinieri, hanno cercato di ricostruire l’organigramma e le attività criminali delle due famiglie mafiose. “Pur essendo stata sensibilmente intaccata nel corso degli anni da varie operazioni, Cosa nostra Agrigentina è tutt’oggi pienamente operante, dotata di ingenti disponibilità economiche e di numerose armi, in un contesto di instabilità degli equilibri mafiosi faticosamente raggiunti nel tempo, cui si aggiungono i sempre più pericolosi, persistenti e documentati collegamenti tra gli associati ristretti in carcere e gli ambienti criminali esterni”, hanno ricostruito i carabinieri.