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Palermo, terremoto a Villa Sofia, si sono dimessi il direttore sanitario Rizzo e quello amministrativo Guadagnino

Il direttore generale dell’Azienda ospedaliera Villa Sofia-Cervello di Palermo, Roberto Colletti, ha comunicato al presidente della Regione Siciliana, Renato Schifani, che il direttore sanitario Aroldo Gabriele Rizzo ha rassegnato le dimissioni dall’incarico.

Schifani, ha convocato per lunedì pomeriggio a Palazzo d’Orléans, Colletti. L’incontro servirà per discutere delle criticità emerse di recente nella gestione delle attività sanitarie del presidio ospedaliero Villa Sofia. Ieri pomeriggio il presidente Schifani aveva ricevuto proprio il direttore sanitario, dimessosi oggi insieme al direttore amministrativo Luigi Guadagnino.

«Lavoriamo ormai in un contesto di profonda crisi operativa, in ortopedia come in tutti gli altri reparti. È inaccettabile che i medici, già costretti a operare in condizioni estreme a causa della cronica mancanza di personale e risorse, debbano subire continue intimidazioni. Non è più sostenibile una realtà in cui medici e infermieri diventano bersagli delle frustrazioni derivanti da problemi strutturali del sistema sanitario, che non dipendono certo dai professionisti. Le minacce costanti rappresentano un attacco diretto non solo alla dignità e sicurezza dei medici, ma anche alla tenuta stessa del nostro sistema sanitario pubblico».

Con queste parole il direttore del Trauma center dell’ospedale Villa Sofia-Cervello, Antonio Iacono che è anche consigliere dell’Ordine dei medici, ha denunciato ieri una situazione già critica, che si è ulteriormente aggravata dopo i due tragici decessi verificatisi nelle ultime settimane all’ospedale
Ingrassia e Villa Sofia di Palermo. Secondo quanto riferito ieri da Iacono, alcuni pazienti e familiari, esasperati dai tempi di attesa e dalla situazione di
emergenza nei reparti, hanno minacciato i medici di rivolgersi alla stampa o ai propri legali con verbali formali qualora non fossero stati immediatamente visitati.

E’ stata eseguita l’autopsia sul corpo di Giuseppe Barbaro, 76 anni, ( in foto) l’uomo morto all’ospedale di Villa Sofia di Palermo in attesa da 17 giorni di un intervento chirurgico nel reparto di Ortopedia. Ad eseguire l’esame il medico legale Manfredi Rubino. Era presente anche la dottoressa Ginevra Malta in qualità di consulente nominata dalla famiglia dell’anziano deceduto assistita dall’avvocato Andrea Dell’Aira. Al momento l’inchiesta della procura è a carico d’ignoti. Per conoscere le cause del decesso si dovrà attendere l’esito degli esami istologici e la relazione del medico legale depositata tra 60 giorni. La famiglia continua a chiedere giustizia.

“Nostro padre non aveva patologie di un nessun tipo – dicono i familiari – ultimo intervento a maggio per la cataratta. Ha superato anche il Covid senza nessun problema. Purtroppo i tre giorni passati al pronto soccorso in corridoio in quello che loro chiamano Obi, ma è di fatto il corridoio dove ci sono tanti pazienti che sono a stretto contatto, e i complessivi 17 giorni di ricovero in attesa di un intervento per la frattura alla spalla hanno portato alla morte di nostro padre che nonostante i 76 anni stava in ottima salute”. I funerali saranno celebrati domani, 11 gennaio. 

Criticità nell’ospedale palermitano erano state riscontrate anche dal presidente della Regione, Renato Schifani, nella sua visita a sorpresa il 3 gennaio scorso trovando in Ortopedia 14 pazienti in attesa d’intervento.

Ma torniamo al racconto della figlia di Giuseppe Barbaro: “«Mio padre Giuseppe Barbaro è arrivato al pronto soccorso di Villa Sofia con la frattura alla spalla che si era provocato cadendo in casa il 21 dicembre. Fino al 24 è rimasto al pronto soccorso in una lettiga, in corridoio. La frattura veniva semplicemente fasciata e immobilizzata con indicazione di necessità di riduzione chirurgica da programmare “appena possibile”. Godeva di buona salute e non soffriva di altre patologie.

Ci è stato detto che non c’era posto in ortopedia e solo il 24 è stato portato in reparto. I medici ci hanno riferito che c’era un turno e che presto sarebbe stato operato.

Durante i giorni antecedenti al trasferimento in reparto abbiamo più volte fatto notare che mio padre non poteva alimentarsi autonomamente per via della fasciatura alla parte superiore sinistra del corpo. Gli infermieri rispondevano che lo avevano in carico come “autonomo” e quindi non potevano far nulla. Sia il 22 che il 28 già manifestava segni di dissociazione e confusione mentale. Mi ha chiamato dicendo di essere legato al letto e il giorno dopo ho visto che era bloccato con fasce di plastica alle caviglie e al braccio destro. Solo quando ho protestato veniva finalmente slegato. Mi sono accorta che aveva la febbre e solo allora gli è stato somministrato del paracetamolo. Il 30 dicembre l’alimentazione attraverso la flebo. Intanto il valore di sodio saliva fino a raggiungere 178. I medici ci hanno comunicato l’esistenza di diversi focolai pneumologici, segni di polmonite bilaterale.

Il 3 gennaio mi hanno detto che non si riuscivano a far rientrare i valori del sodio e che era lecito aspettarsi un esito infausto. Nonostante questo mio padre non è stato trasferito in terapia intensiva ed è morto il 6 gennaio. La comunicazione mi è stata data da un sanitario che m’ha detto di essere appena arrivato da Napoli». 

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