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Una condanna e un patteggiamento: Promettevano posti di lavoro alle Poste in cambio di soldi

Si definiscono due delle quattro posizioni di altrettanti imputati coinvolti nell’inchiesta su una banda che ha fatto credere di poter fare assumere alle Poste Italiane, in cambio di un corrispettivo di circa 20 mila euro. Sei le vittime individuate, tutte della provincia di Palermo, che avevano già versato un acconto, in misura diversa, per complessivi 45 mila euro. A portare alla luce quella che sarebbe stata un’associazione a delinquere, finalizzata alle truffe, sono state le sezioni di Polizia giudiziaria dell’Arma dei carabinieri, della polizia di Stato, e della Guardia di finanza, della Procura della Repubblica di Sciacca. Decisi un patteggiamento e una condanna. Il giudice del tribunale di Sciacca, Dario Hamel, ha ratificato il patteggiamento a 1 anno e 6 mesi di reclusione per Sylvia Adamczyk, 51 anni, di nazionalità polacca ma residente a Palermo.

Condanna a 1 anno e 8 mesi di reclusione invece nei confronti di Antonina Campisciano, 47 anni, di Ribera, residente a Caltabellotta. Il personaggio principale dell’intera inchiesta è indubbiamente Alfonso Caruana, 48 anni, impiegato postale, a processo col rito ordinario insieme a Pasqualina Serpico, 53 anni di Castelvetrano. All’epoca del blitz i particolari dell’operazione vennero resi noti, nel corso di una conferenza stampa, che si è tenuta nei locali del Comando provinciale Carabinieri di Agrigento, alla presenza del tenente colonnello Roberto Vergato, comandante della Compagnia di Sciacca.

“Era stato creato ad hoc un meccanismo, per fare cadere nella trappola persone, che avevano problemi di natura economica, mancanza di lavoro, e alcune vittime addirittura si sono pure indebitate, oltre il danno, anche la beffa – ha detto il ten. col. Vergato -. L’ex dipendente delle Poste conosceva determinati meccanismi, e arricchiva l’ambientamento del raggiro nei confronti delle vittime, con un ufficio di rappresentanza che aveva a Palermo, qualificandosi dirigente sindacale”. Gli imputati avrebbero approfittato dello stato di necessità di soggetti, essendo tutti disoccupati, e alla disperata ricerca di un lavoro. L’adescamento delle vittime, dai 40 ai 60 anni, avveniva nei modi più disparati, visto la “fame” di lavoro, soprattutto con il passaparola.

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