Giovanni Barreca è stato dichiarato incapace di intendere e di volere dai consulenti nominati dalla Procura di Termini Imerese, ed ha lasciato il carcere di Barcellona Pozzo di Gotto, dove era recluso, per essere trasferito in una residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), una struttura sanitaria che ospita persone affette da patologia psichiatrica.
L’ex muratore è accusato di avere torturato e ucciso, un anno fa, insieme alla figlia diciassettenne e a una coppia di amici, Sabrina Fina e Massimo Carandente, la moglie Antonella Salamone e i figli Kevin e Emanuel di 16 e 5 anni, al culmine di un rito per liberare la famiglia da fantomatiche presenze demoniache. Secondo la perizia, Barreca non è imputabile e non potrà quindi sostenere il processo: ancora oggi sarebbe in preda a un delirio mistico, tanto da proporre di voler liberare i compagni di cella dalla possessione del diavolo.
L’uomo, difeso dall’avvocato Giancarlo Barracato, è stato ospitato in un centro temporaneo in attesa che venga individuata la Rems in cui dovrà sostenere le cure per la riabilitazione.
Potrebbe essere portato a Naso o a Caltagirone, le due Rems siciliane, cioè le Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, che hanno sostituito gli ospedali psichiatrici giudiziari, aboliti nel 2013 e chiusi definitivamente il 31 marzo 2015. Si tratta di strutture in grado di tenere in custodia e contemporaneamente di curare le persone affette da disturbi mentali che hanno compiuto reati gravissimi.
Ha avuto ragione la linea difensiva, sostenuta dall’avvocato Giancarlo Barracato con la consulenza di parte preparata dalla criminologa Roberta Bruzzone e dallo psichiatra Alberto Caputo, che ha dimostrato come il disturbo mentale avrebbe impedito a Barreca di comprendere il significato del proprio comportamento. Lui stesso, in più occasioni, aveva ribadito di essere stato come imbambolato mentre si stava compiendo il massacro e di non avere avuto alcuna cognizione della violenza.
A suffragare questa ipotesi ci sarebbero anche le relazioni dei medici che lo hanno visitato in ognuno degli istituti di pena in cui è stato trasferito per tutelare la sua sicurezza. Esami che avevano confermato che l’uomo, sia nei giorni della carneficina che nei mesi successivi, non era stato in possesso delle proprie facoltà mentali.