Bocciata al primo voto dalla stessa maggioranza che l’aveva proposta: La riforma delle Province, quella che doveva ridare vita a questi enti attraverso l’elezione diretta dei presidenti, non c’è più.
All’Ars è caduto l’articolo 1, quello che conteneva le fondamenta della legge, con 40 voti contrari e solo 25 a favore. E così, monca, la riforma non può più andare avanti. Il governo infatti si è fermato subito. Poiché in aula la maggioranza poteva contare su 38 deputati presenti (erano assenti due di Fratelli d’Italia), è ovvio che i franchi tiratori sono stati almeno 13. Cioè la differenza fra i 38 potenziali e i soli 25 voti arrivati a favore della riforma fortemente voluta da Schifani.
I franchi tiratori del centrodestra vanno cercati praticamente in tutti i partiti (compreso Forza Italia). E ciò è dovuto alle scorie lasciate dalle nomine dei manager della sanità e dalla bocciatura, la settimana scorsa, della norma salva-ineleggibili che era cara a Fratelli d’Italia.
Della riforma, ovviamente, non se ne parla più. E meno che mai delle elezioni previste a giugno. Si passa quindi alle elezioni di secondo livello, quelle che chiamano al voto i sindaci e i consiglieri del territorio per eleggere vertici con poteri limitati.
Governo Ko al primo vero test e maggioranza in tilt in un clima da tutti contro tutti.
Renato Schifani ha lasciato l’Ars visibilmente amareggiato un minuto dopo il voto che gli ha consegnato una maggioranza in frantumi e una riforma che era un punto chiave del governo ormai naufragata. Il presidente era in aula al momento del voto, segnale evidente della volontà di tenere il punto sulla riforma rigettando gli inviti dell’opposizione a fermarsi e gli stessi avvisi ai naviganti arrivati da giorni dagli emissari del centrodestra. Era chiaro che Fratelli d’Italia non sarebbe stata compatta a sostegno del governo e allo stesso modo la spaccatura della Lega ha indebolito il sostegno alla riforma. Ma perfino in Forza Italia – è la lettura che filtra dagli sherpa di Palazzo d’Orleans – ci sarebbero deputati su cui nessuno può mettere la mano sul fuoco. Il riferimento sarebbe ai due agrigentini, Margherita La Rocca Ruvolo e Riccardo Gallo – contrari ad assegnare la eventuale candidatura alla presidenza della Provincia a un cuffariano. E anche sull’assessore Marco Falcone in Forza Italia ci sono analisi in corso visto le recenti frizioni avute con Schifani. Anche se testimoni oculari in aula hanno confermato che Falcone ha votato a favore della riforma. Il clima di sospetti reciproci in tutti i partiti alimenta tuttavia l’attesa di una resa dei conti che provocherà altri problemi all’Ars a breve.
Nell’attesa il presidente si è riunito a Palazzo d’Orleans con i fedelissimi di Forza Italia: Stefano Pellegrino, Gaspare Vitrano, Edy Tamajo e Gaetano Armao. E fa sapere che la bocciatura della riforma non crea danni di natura economica alla Sicilia e non cambia il percorso del governo. «Avanti sulla linea del programma», è il messaggio del governatore. Che respinge così anche i boatos che parlavano di ipotetiche dimissioni. La crisi nella maggioranza però è più che mai aperta.
“La riforma delle Province per la Democrazia Cristiana, così come per Schifani, ha sempre rappresentato un punto fondamentale del proprio programma alla quale abbiamo lavorato per oltre un anno sia in Commissione Affari istituzionali che presso l’assessorato agli Enti locali. Inspiegabilmente, oggi, con il voto segreto alcuni parlamentari della maggioranza che, con le parole si sono espressi favorevolmente, hanno deciso di votare contro. Siamo sempre stati e continueremo ad essere vicini e leali al presidente Schifani sostenendo l’attività del governo. Adesso, inevitabilmente, occorrerà un chiarimento all’interno dei partiti affinchè la maggioranza trovi nuovamente unità sui provvedimenti che vanno portati in Aula”. Lo dichiara il gruppo della Democrazia Cristiana all’Ars.