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Pesca a strascico. Pescatori in allarme per direttiva UE

Pesca a strascico, la UE la mette al bando entro il 2030. Le ricadute in Sicilia.

L’unione Europea è decisa a mettere al bando una delle tecniche antiche e tradizionali della pesca a strascico e pertanto ha messo a punto in queste settimane una tabella di marcia per eliminare gradualmente la pesca di fondo, entro il 2030.

L’Italia si oppone a tale proposta perché, metterebbe in ginocchio l’attività di circa 3.000 pescherecci del nostro Paese, con conseguenze economiche, sull’occupazione e sui consumi certamente disastrose. I pescatori siciliani in questo quadro sarebbero i più penalizzati, in quanto, questa particolare tecnica di pescato, oggi frutta134 milioni di euro annui di ricavi con 15 mila tonnellate di pesce. Inoltre, il pescato siciliano- fa notare l’Osservatorio sulla pesca del Mediterraneo- non è sufficiente a coprire la richiesta del mercato interno. Basti pensare che oltre il 70 per cento del pesce venduto nell’Isola proviene da altre parti d’Italia. I numeri della pesca in Sicilia sono importanti. La filiera ittica siciliana è la prima in Italia, con quasi 33 mila tonnellate di pescato all’anno, quasi il 19% del dato nazionale, e un ricavato che supera i 220 milioni di euro, il 25% del totale. Sono circa 2.500 le imprese della pesca e sono spesso realtà individuali o a conduzione familiare. Non meno importante anche l’indotto, con un centinaio di aziende della trasformazione e migliaia della distribuzione.

Ma in uno dei documenti il “Marine Action Plan”, della Commissione europea riguardanti il settore pesca, è sottolineato come la tecnica dello strascico “mette a rischio la sostenibilità della pesca e la disponibilità di pesce a medio e a lungo termine”, e di conseguenza va vietata “in tutte le aree marine protette, entro il 2030”. Le aree protette a cui si fa riferimento sono quelle della Rete “Natura 2000”, e la Sicilia è la regione italiana che ne conta di più. Dagli ultimi dati del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica abbiamo oltre 650 mila ettari, il 17% delle acque siciliane e il 325 delle zone marine protette in Italia. Ma abolire questa tecnica e quindi vietare di pescare su un’area così vasta significa dare il colpo di grazia al settore ittico che già deve affrontare molti problemi, visti poi gli aumenti del gasolio che hanno costretto i pescherecci a rimanere ormeggiati nei porti. Non va inoltre dimenticato che nell’Isola, la pesca è anche ma soprattutto tradizione familiare, col serio rischio, appena la norna dell’Ue andrà a regime di perdere un’importate eredità anche sul piano culturale.

Nello Musumeci, Ministro per la Protezione Civile e le Politiche del mare, sostiene le ragioni dei nostri pescatori e aggiunge che “le proteste sono assolutamente legittime. L’Unione europea non può pensare di applicare in maniera uniforme regole senza tener conto della specificità delle fasce costiere, delle tradizioni pescherecce, della fauna ittica”. Per il ministro quindi bisogna intervenire per une radicale revisione del Piano in sede europea, e far capire a Bruxelles, sempre nel pieno rispetto della sostenibilità ambientale che la Sicilia possiede una flotta di ben 543 pescherecci per la pesca a strascico, pari al 26% della flotta nazionale, che conta oltre il 30% della produzione ittica e un fatturato superiore al 45% dell’intero pescato. Nel contempo occorre tutelare non solo il settore ma anche mantenere tutti i livelli occupazionali affinché questa attività antica e tradizionale, che è significativa della  Storia della Sicilia, non venga ulteriormente  penalizzata se non addirittura annientata.

L’eliminazione della pesca a strascico significa per l’Italia – afferma la Coldiretti Impresapesca – un ulteriore disastro che già nel 2022 aveva visto arrivare nelle nostre tavole oltre 1 miliardo di chili di pesce estero tra fresco e trasformato, pronto per essere servito come nostrano.

Assieme a loro, sono quasi tremila i pescherecci italiani che saranno “affondati” – sottolinea ancora Coldiretti Impresapesca – dalle nuove linee europee che prevedono la scomparsa del sistema a strascico, il quale rappresenta in termini di produzione ben il 35% del pescato nazionale, operando di media non più di 130 giorni all’anno, secondo l’analisi di Coldiretti Impresapesca.

Le nuove linee prevedono anche la restrizione delle aree di pesca con tagli fino al 30% di quelle attuali, con scadenze nel 2024, 2027 per concludersi nel 2030. Ciò si avrà un impatto devastante sull’economia, sui consumi ma soprattutto sull’occupazione, quando invece le stesse regole non vengono seguite dai pescherecci dei Paesi extraUe che possono così navigare liberamente sul Mediterraneo. Un paradosso. Così come è paradossale che lo stesso commissario europeo, Virginijus Sinkevičius, abbia duplice competenze nei ruoli sia per l’Ambiente sia per gli oceani e la pesca.

Già negli ultimi trent’anni sono scomparsi il 33% delle imprese e ben 18.000 posti di lavoro, con la flotta ridotta ad appena 12mila unità.

Nel frattempo la mobilitazione politica a sostegno dei pescatori italiani, comincia ad attivarsi, nella speranza che i governi ed i pescatori dell’Unione Europea facciano altrettanto. Nell’auspicio che a Bruxelles venga individuato un meccanismo che permetta la riconversione, nell’ambito della pesca a strascico, per giungere ad un giusto equilibrio, garantendo la conservazione degli ecosistemi marini e di non sacrificare posti di lavoro ed una risorsa di qualità del tutto italiana. La battaglia è solo all’inizio.

Enza Maria Agrusa

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