Ancora arresti a Campobello di Mazara, a due mesi esatti dalla cattura di Matteo Messina Denaro, avvenuta a Palermo. Stamane i carabinieri del Comando provinciale di Trapani hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Emanuele Bonafede (classe 1973) e Lorena Ninfa Lanceri (’75), indagati in concorso per favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena, reati aggravati dal fatto di avere agevolato Cosa nostra. Il primo è cugino del geometra Andrea Bonafede, l’uomo che avrebbe fornito identità, tessera sanitaria e bancomat al boss, la seconda è la moglie. L’ordinanza è stata emessa dal Tribunale di Palermo su richiesta della direzione distrettuale antimafia e antiterrorismo. L’inchiesta è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dai pm Piero Padova e Gianluca De Leo.
Secondo gli inquirenti, la coppia avrebbe ospitato «in via continuativa e per numerosi giorni», nella sua casa di Campobello di Mazara, il padrino all’epoca latitante. Abitualmente, dunque, il boss sarebbe andato a pranzo e a cena nell’appartamento dei due, entrando e uscendo indisturbato grazie ai controlli che i Bonafede svolgevano per scongiurare la presenza in zona delle forze dell’ordine. I coniugi – secondo i pm – avrebbero dunque fornito al boss «prolungata assistenza finalizzata al soddisfacimento delle sue esigenze personali e al mantenimento dello stato di latitanza». Lorena Lanceri, inoltre, secondo gli inquirenti, era inserita nel circuito di comunicazioni che ha consentito all’ex latitante di mantenere contatti con alcune persone a lui particolarmente care. Oltre a essere nipote del boss di Campobello Leonardo Bonafede, Emanuele Bonafede è fratello di Andrea Bonafede, l’impiegato comunale arrestato nelle scorse settimane con l’accusa di avere fatto avere al capomafia le prescrizioni sanitarie compilate dal medico Alfonso Tumbarello, finito in carcere per concorso esterno in associazione mafiosa.
L’operazione effettuata a Campobello di Mazara, luogo in cui Matteo Messina Denaro avrebbe vissuto negli ultimi 4 anni, utilizzando almeno due abitazioni diverse, costituisce la naturale prosecuzione dell’indagine che lo scorso 16 gennaio ha consentito al Ros di catturare a Palermo il latitante e di trarre in arresto in flagranza di reato il suo accompagnatore Giovanni Salvatore Luppino per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose.
Da quel giorno ad oggi altre persone sono finite in carcere, a cominciare dallo stesso geometra Andrea Bonafede, 59 anni, arrestato per partecipazione ad associazione mafiosa. Ma in carcere è finito nel frattempo anche il medico di Campobello di Mazara, Alfonso Tumbarello, per concorso esterno in associazione mafiosa ed altri reati pure aggravati dalle modalità mafiose. Per garantire al boss le cure mediche per il tumore al colon, Tumbarello ha firmato 95 ricette per i farmaci e 42 analisi. Per un totale di 137. L’altro Andrea Bonafede, di 53 anni, dipendente comunale e fratello di Emanuele, arrestato oggi, è stato arrestato invece per procurata inosservanza di pena e favoreggiamento aggravati dalle modalità mafiose.
In carcere poi lo scorso 3 marzo è finita anche la sorella dell’ex primula rossa di Castelvetrano, Rosalia Messina Denaro, per partecipazione ad associazione mafiosa. «Per aver gestito la cassa della famiglia» ed essere stata «punto di riferimento della riservata catena dei “pizzini” del latitante», scrivono i giudici.
Salgono a sei pertanto, i favoreggiatori della latitanza del boss Matteo Messina Denaro arrestati dai carabinieri del Ros. Dalle indagini emerge chiaramente che Messina Denaro è stato costantemente supportato da più persone durante la latitanza. Persone «che, secondo i pm, gli hanno consentito di spostarsi in relativa sicurezza sul territorio, anche avvalendosi di più autovetture, di accedere sotto mentite spoglie alle indispensabili cure del Servizio sanitario nazionale, anche grazie a diagnosi e ricette effettuate a nome di Andrea Bonafede, e di acquistare sotto falso nome (ancora una volta quello di Andrea Bonafede) una casa da adibire a covo e una macchina». Al momento sono in corso in tutta la provincia di Trapani numerose perquisizioni a carico di soggetti che in qualche modo possano in questi anni favorito la latitanza del boss.