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Canicattì. Chiesa del Purgatorio: Miti, leggende e dicerie a cura del Prof. Lauricella

Di Giuseppe Lauricella. 

Quando nel 1806 fu ultimata la chiesa del Purgatorio, voluta e finanziata dal barone Gaetano Adamo e dal fratello don Carlo (sull’area dove prima esisteva il carcere), a benedirla venne il vescovo di Girgenti mons. Saverio Granata. Per solennizzare l’avvenimento furono organizzati imponenti festeggiamenti e grande fu il concorso di fedeli. Tutti volevano ammirare la bellezza del nuovo tempio che nella facciata era impreziosito da un grande medaglione in pietra bianca raffigurante le Anime del Purgatorio, opera dello scultore palermitano Vincenzo Spinoso.

All’interno l’attenzione della gente fu subito catturata dalle grandi pale poste su due altari laterali: il martirio di San Bartolomeo e il martirio di Sant’Agata. 

Esclamazioni di stupore prima e ammiccamenti poi.

Talè, chiddru lu zi Filippu è… e chiddru lu zi Peppi… 

Precisi sunnu, ma quantu sunnu ladii…! 

Sia nella tela raffigurante il martirio di San Bartolomeo che in quella di Sant’Agata, gli aguzzini che martirizzavano i due Santi avevano le sembianze di don Filippo Martines e Giuseppe Lo Giudice. Un ghigno feroce deformava le loro facce ma nessuno dei presenti ebbe alcun dubbio nell’identificarli. Il luogo di preghiera in breve fu riempito dalle risa dei fedeli e molti ricordarono le liti che c’erano state tra l’autore dei quadri, il pittore Gaetano Guadagnino e i suoi due vicini di casa. Difatti per questione di confini e affaccio tra il pittore e i suoi vicini erano volate parole grosse e per poco non si era venuti alle mani. 

Gaetano Guadagnino era un tipo sanguigno che per un nonnulla si inalberava, per cui figurarsi cosa gli era saltato per la testa quando i suoi vicini si erano opposti alla sopraelevazione di un suo dammuso. Non potendo realizzare il progetto, dopo tante discussioni il pittore s’era dovuto rassegnare a interrompere i lavori, ma nella sua fantasia prese corpo un’atroce vendetta. L’occasione si presentò quando gli vennero commissionate due pale d’altare per celebrare il martirio dei due Santi con scene di vivo dolore onde farne esempio per i fedeli. 

Il Guadagnino, famoso per sapere fissare sulla tela figure e volti a memoria senza bisogno di modelli, non ci pensò un momento e presi colori e pennelli diede mano all’opera pregustando la vendetta. Espressioni più atroci non poteva trovare nel rappresentare gli odiosi sgherri che torturavano i Santi e immaginando in quella veste i suoi vicini fece più del dovuto, lasciando a perenne ricordo la bruttezza feroce che intravedeva nei suoi nemici. Ciò che non poté fare con la ragione lo fece con la sua arte. Quel giorno in casa Martines e Lo Giudice non ci fu pace così che, non potendosi rassegnare ad essere visti da tutti come malfattori e feroci aguzzini, decisero di ricorrere alla giustizia e presentarono petizione contro l’autore delle esecrande pitture perché venissero distrutte. 

Il giudice, forse per salvare le tele o forse perché non soddisfatto dalle spiegazioni del Martines e del Lo Giudice, dopo avere tergiversato per alcuni mesi, prese la sua decisione: i ricorrenti non erano riconoscibili nelle sembianze degli aguzzini e se qualcuno ravvisava elementi di somiglianza era solo per fortuita coincidenza, per cui l’istanza dei ricorrenti era rigettata. 

Ai due malcapitati così non rimase che la rassegnazione e si dice che finché camparono mai alcuno li vide entrare nella chiesa del Purgatorio.

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