Nove le persone fermate questa notte dai carabinieri che, con l’operazione “Centro”, hanno eseguito il provvedimento disposto dalla Direzione distrettuale antimafia, guidata da Paolo Guido, che ha colpito il clan di Palermo Centro.
Avrebbero avuto il controllo di gran parte del traffico di droga tra Capo, Ballarò, Kalsa e Vucciria, si sarebbero occupati del contrabbando di sigarette e delle estorsioni, anche imponendo la “riffa” ai commercianti, gestendo alcune dinamiche interne al mercato storico di Ballarò, decidendo pure sulle “autorizzazioni” per aprire un’attività. Gli indagati sono accusati di associazione mafiosa, estorsione, traffico e spaccio di stupefacenti, il tutto aggravato dalla circostanza di aver favorito Cosa nostra.
Le indagini, condotte dai militari del nucleo investigativo del Comando provinciale, sono andate avanti velocemente sino al fermo eseguito oggi per il “concreto pericolo di fuga di uno dei capi – si legge in una nota – sul cui conto sarà emessa a breve sentenza nel processo d’appello conseguente all’operazione Cupola 2.0”. Nel corso dell’attività gli investigatori hanno ricostruito “la struttura di vertice della famiglia mafiosa di Palermo Centro, inquadrata nel mandamento di Porta Nuova, documentando anche numerose riunioni di mafia, alcune delle quali all’interno della sala da barba di uno degli indagati”.
Oltre alla droga, uno dei business principali resterebbe quello delle estorsioni. Chiedere il pizzo, però, è sempre rischioso e così gli indagati avrebbero escogitato un metodo ritenuto meno pericoloso. “Per ridurre i rischi di denunce da parte dei commercianti, l’associazione mafiosa – prosegue la nota – avrebbe realizzato, sistematicamente, l’imposizione di una lotteria abusiva, la cosiddetta ‘riffa’, obbligando i commercianti della zona ad acquistare, minacciandoli nel caso in cui questi non avessero aderito alla richiesta”. Un trucco che in passato era già stato utilizzato da altre cosche della città.
Ballarò è dunque un’enclave della famiglia Mulè. Il padre Franco e il figlio Massimo dettavano legge. Si davano appuntamento in una sala da barba per decidere ogni cosa, persino come andavano sistemate le bancarelle di uno dei mercati storici di Palermo.
L’ultrasettantenne Mulè nel 2016 è passato dall’ergastolo alla libertà. E si sarebbe ripreso il potere, guidando la famiglia mafiosa (competente sui quartieri Capo, Ballarò, Kalsa e Vucciria) assieme al figlio. Ha trascorso 23 anni in carcere, ma avrebbe dovuto rimanerci per tutta la vita visto che era stato condannato anche per tre omicidi.
Gli arrestati sono:
Francesco Mulè, detto “Zu Francu”, di 72 anni
Massimo Mulè, detto “u nicu”, figlio di Francesco, di 50 anni
Gaetano Badalamenti, soprannominato “u zio”, ma anche “mangeskin”, “ricotta”, “roma” e “capitale, di 63 anni
Francesco Lo Nardo, detto “sicarieddu” e “sicarru”, 63 anni
Giuseppe Mangiaracina, alias “pitbull”, 43 anni
Alessandro Cutrona, detto “tettina” e “u pacchiuni”, di 38 anni
Calogero Leandro Naso, alias “Leo” e “u pugile”, di 28 anni
Salvatore Gioeli, detto “Mussolini”, “benzina” e “pompa”, 56 anni
Antonio Lo Coco, soprannominato “Peppuccio”, 68 anni