C’è anche un giovane di Canicattì – Giuseppe Orlando, 22 anni – tra le ventisei persone arrestate questa mattina nell’ambito della maxi operazione della Direzione Investigativa Antimafia, coordinata dalla Procura di Roma, che avrebbe fatto luce su una “locale” di ndrangheta operante nella capitale.
Il canicattinese è accusato di trasferimento fraudolento di valori in concorso. In sostanza, secondo gli inquirenti, sarebbe stato un prestanome, la cosiddetta “testa di legno”, utilizzata da due esponenti del clan al fine di eludere eventuali misure di prevenzione patrimoniale, intestandosi un esercizio commerciale, il bar Tintoretto, sito a Roma. La misura è stata eseguita dalla Dia di Agrigento guidata dal vicequestore Roberto Cilona.
In ventiquattro sono finiti in carcere mentre in due ai domiciliari. Un’organizzazione criminale che vede al vertice Antonio Carzo e Vincenzo Alvaro, legati a famiglie di ‘ndrangheta operanti nella zona di Cosoleto (Reggio Calabria). Secondo gli inquirenti, il clan puntava ad acquisire la gestione di attività economiche nei settori della panificazione, mercato ittico, pasticcerie e ritiro pelli. Le mani del clan erano finite anche sul business della ristorazione e dei bar. Gli inquirenti contestano al giovane canicattinese, la cui posizione dovrà comunque essere approfondita, di essere uno dei meccanismi del cosiddetto “Sistema Alvaro”. Si tratta di una serie di intestazioni fittizie in grado di far girare un ingente quantitativo di denaro spostato da una società all’altra al fine di dare una giustificazione all’acquisto delle aziende. In realtà, secondo le indagini, il sistema era solo un modo per mascherare le operazioni in corso e questo sarebbe emerso dalla presenza formale di titolari senza beni intestati né redditi dichiarati come ad esempio lo stesso Orlando. Il giovane, secondo quanto emerso, non avrebbe mai dichiarato redditi e, nonostante avesse fondato una startup quindici giorni prima con un capitale sociale di cento euro, era riuscito a comprare un bar a Roma con un’operazione da trenta mila euro. Un affare che ha destato sospetto finendo subito sotto la lente di ingrandimento degli inquirenti.
Nella stessa vicenda è coinvolto anche Raimondo Orlando, padre dell’odierno arrestato, un personaggio gravato da numerosi precedenti di polizia tra cui associazione per delinquere finalizzata alla truffa per il conseguimento di erogazioni pubbliche e auto-riciclaggio. Quest’ultimo risulta essere uno dei soci della società che ha rilevato la ditta di Giuseppe Orlando con funamboliche operazioni economiche.